Il lavoro nel dopoguerra

In una cosa almeno il dopoguerra rappresentava un periodo molto superiore a quello attuale: il lavoro, nell’Italia di allora non mancava, almeno ad un certo livello. Le industrie cercavano i ragazzi appena laureati già al momento della tesi, non si parlava di “esodo di cervelli”, i concorsi statali erano numerosi. Mio padre, uscito da una terribile guerra, ricominciò daccapo.

Non si trovava praticamente nulla: le donne si disegnavano la riga delle calze dietro le gambe con un carboncino e fiorivano le rammagliacalze che operavano con aghi finissimi. L’indumento più utilizzato era l’impermeabile, sole o pioggia che fosse, detto emblematicamente “coprimiseria”. Come ho già ricordato ogni pezzo di tessuto era benvenuto. Ma anche i rottami metallici di guerra servivano a aggiustare ogni cosa, sebbene precariamente. Ogni stanza aveva la sua valvola elettrica corrispondente, si doveva trovare un filo di rame e applicarlo ed io, naturalmente, facevo nuovamente saltare la luce. Appena riaprirono le fabbriche tessili del nord Italia, gli ordini dei commercianti sforniti di tutto fioccarono a valanga. La ditta Zingone, famosa nell’anteguerra perchè “vestiva tutta Roma”, acquistò da mio padre cinquemila impermeabili di nylon di cui ho parlato.
Con le strade di allora seguire gli ordini non era facile: i telefoni erano intasati, spesso duplex (linea condivisa tra due utenti, se usata da uno l’altro aveva il telefono muto) e per chiamare un numero  fuori Roma si attendevano spesso ore.
Per andare al nord, fosse pure Firenze o Bologna, c’erano le strettissime Cassia e Aurelia e servivano giorni interi per arrivare a destinazione. Sulla Radicofani, Futa e Cisa, i radiatori bollivano, si forava spesso e cambiare la gomma non era affatto facile, a volte si doveva riparare anche la camera d’aria con toppe e mastice.
Le ditte rappresentate erano importanti: la Caesar confezioni di Torino, Sobrero calze, Vitale stoffe.
Volevo fare il giudice, purtroppo rinunciai presto, dovevo entrare controvoglia in ufficio per aiutare la famiglia, papà si era ammalato in giovane età. Lavoravo di giorno e studiavo di notte. La mia prima esperienza lavorativa fu assai dura: mio padre mi inviò a Potenza a vendere impermeabili, stipati in due valige di venticinque chili l’una e lunghe tre. Il viaggio fu epico: partenza ad ora comoda, le quattro di mattina, arrivo a Potenza bassa, trasbordo a Potenza città su carretto trainato da cavallo e arrivo in perfetto orario, le nove e trenta. Entrai nel negozio, dove mi accolse un bimbo seminudo. Dopo aver declinato le mie generalità il bimbo mi guardò come se fossi trasparente, così dopo avergliele ripetute la terza volta si decise ad urlare verso il retrobottega nascosto ai miei occhi: “Papà, è arrivato nu viaggiatore co’ du baligge”. Dal nulla risuonò la seguente risposta: “Chi è ‘stu strunz! Vaffancule te e issu!”
Me ne capitarono altre, tra cui una con i componenti di una nota banda di malviventi che infestavano la Roma tra gli anni ottanta e novanta. Ma la racconterò un’altra volta.

12 pensieri su “Il lavoro nel dopoguerra

  1. Da schiattare dal ridere l’incontro ravvicinato del terzo tipo con Potenza, che già conoscevo, ma senza sapere fosse “pure” la tua prima esperienza lavorativa,
    Un pó meno c’è da ridere su difficoltá e sacrifici sofferti in quel periodo storico, che se pur favorevole alla ripresa, per uomini di buona volontá, ha richiesto un impegno al limite delle possibilità a un ragazzo cosí giovane, provato uteriormente dalla prematura assenza di un padre tanto “eccezzionale”.
    Grande Fabio, “er Madesdic” per tutti noi!

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  2. Già nel periodo fascista Roma ebbe significative modifiche e nello stesso tempo furono poste le basi per il suo futuro. Nel Dopoguerra, come in altre città italiane, avvennero i cambiamenti che portarono ad una intensa crescita edilizia (Inacasa);: dettero un tetto a parecchie persone ma portarono anche la corsa dello sviluppo incontrollato che portò alla speculazione edilizia. Anche la popolazione raddoppiò con l’immigrazione provenienti da varie parti d’Italia. Fu un periodo storico in cui Roma era grande operosa ed eccelleva in quasi tutto ed era, comunque, lontanissima da quel degrado che la sta rovinando giorno dopo giorno sempre di più. Dove sono finiti quei romani che subito dopo la Seconda guerra mondiale seppero reagire? C’era una voglia di migliorarsi e migliorare le condizioni di vita.. Roma anno dopo anno dimostrava vivacità, maggiori aspettative e speranze, con stimoli culturali intellettuali che attiravano gente da tutto il mondo. Tutto era all’insegna della velocità e della corsa, i romani avevano tempo solo per i vivi e non per i morti!!!

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  3. Ricordo Zingone anche per un fatto extralavoro. Nel 1943 Gennaro Zingone, non esitò a dare uno statuto di lavoratore a mio padre, attestando che la rappresentanza della sua ditta per il Lazio era concessa a Renato Sequi, suo nome falso nel periodo buio dell’occupazione tedesca, grazie.

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  4. Pingback: Le Prime ditte rappresentate | Bordimaia

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