Amerigo, maestro di caccia

Con immenso piacere pubblico il contributo di un altro mio “fratelcugino” Daniel, da Israele.

Velletri. Contrada Acqua Palomba. La vigna di Zia Noemi (Bordimaia). Agosto 1961.

Avevo allora nove anni e mezzo. Ci tengo a precisare quel “mezzo”: io sono nato alla fine di dicembre, per cui durante le vacanze estive avevo il sacrosanto diritto di aggiungermi all’età quell’importantissimo “e mezzo”.
Insomma, come avrete capito, non ero più un ragazzino di appena nove anni.
Se aggiungiamo poi che nell’ottobre precedente mi era nato un fratellino, finalmente mi potevo anche fregiare del titolo di “fratello più grande”, titolo che fino a pochi mesi prima, era riservato solo a mia sorella.
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Il viaggio di fine liceo in costa Azzurra

Caro Ettore, poichè vuoi dimenticare quel periodo, sono lieto di rinfrescarti le idee sul viaggio in Costa Azzurra: partimmo da Termini una notte di fine ottobre, ci accompagnarono i padri, con raccomandazioni varie. Arrivammo a Montecarlo, trovammo una stanza in centro, economica ma pulita, gestita da una signora cortesissima. E da lì iniziammo il giro. I casinò no, per carità, li sfiorammo da fuori, non avevamo che i pochi soldi rimediati dalle vendite fortunose dei libri di scuola (ricordi bene che nonna con carta gommata, carta blu per foderare, colla di farina, aveva fatto miracoli per restaurarli).

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Ettore: ricordi del liceo

Con immenso piacere pubblico questo meraviglioso contributo di Ettore!

Prefazione
Rino, presente; Nanni, presente; Fabio, presente; D., presente; Maurilio, presente; Renato, presente; Alessandro, presente; Ettore, presente; Ugo, presente; Giorgio, presente.
Tutti ancora presenti all’appello ed uniti come allora, compreso il Nannetto che ci ha lasciati fisicamente ma che è sempre con noi: un gruppo di over 70 uniti nel ricordo delle vicende della nostra gioventù e, quello che è più grave, pronti a rifare le stesse cose di allora.
Dedico ai miei amici e compagni di allora e di oggi i miei ricordi del periodo scolare, sperando che l’età ed il fatale rincoglionimento non li abbia rimossi od annebbiati.
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Che emozione la casetta di Bordimaia!

Con grandissimo piacere pubblico il primo contributo di Enrico

Caro Fabio,
vedere l’immagine attuale della casetta mi provoca una profonda emozione.
Tanti ricordi dei giorni passati all’Acqua Palomba mi fanno rivivere quel periodo come fosse oggi!
Con la mia famiglia (papà Giorgio, mamma Marcella, nonna Lidia e la sorellina di pochi mesi) eravamo in “vacanza” nel luglio del 1943 a Velletri, località Morice.
Era da lì che si vedeva la piazza di Velletri che il 25 luglio si inondò di popolo entusiasta che gridava: “Evviva!! E’ finito il Fascismo e sopratutto è finita la guerra!!”
Arrivati all’otto settembre i miei decisero di non tornare a Roma: non solo la guerra non era finita, ma arrivarono i nazisti, aiutati dai fascisti.
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Pillole di vita del … Madesdic

Sono nato di sei mesi, evento raro oggi, quasi da Domenica del Corriere allora. I miei erano andati in ospedale pensando non nascessi vivo, invece il dottore si affacciò chiedendo agli attoniti famigliari: “i vestiti del bambino?”, nessuno aveva pensato a portarli. I problemi iniziarono subito, ma mia nonna prese la situazione in mano: scatola da scarpe, ovatta,  e una incubatrice ante litteram era fatta. Toglievano il latte materno con un tiralatte, e mi nutrivano dal naso. Ogni volta diventavo cianotico tanto che una suora, spaventatissima, tentò un battesimo. Ci volle una nutrita corrispondenza tra papà e il parroco per evitarlo. Poi la fuga con la famiglia dove poi nacque Bordimaia. Del dopoguerra mi sono soffermato e molto ho parlato dei miei (e nostri) studi (per così dire).
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Bordimaia: una visione femminile

Con grandissimo piacere pubblico il primo contributo di Paola.

Anche io voglio ricordare Velletri e Bordimaia: quando sono andata la prima volta alla vigna, mentre varcavo quel cancello mi sembrava che si avverasse un sogno. Da sempre adoravo la campagna: ci si andava insieme ai noti amici, si giocava tutti insieme nella pineta, si prendeva il sole, si arrivava al fosso, si pranzava anche con le fragoline lavate col vino della vigna. La giornata scorreva bellissima. Ero un pò gelosa di Bordimaia, sempre nei loro discorsi, perché non ne facevo parte. Appena sposati però, una delle mie prime richieste fu di entrarne a pieno titolo, insieme alle mogli degli amici di Fabio. Mio marito promise di chiedere a tutti l’ingresso delle rispettive mogli a Bordimaia. Un giorno purtroppo la casa e la vigna di Velletri furono vendute, un grande sogno infranto, nonostante ciò Bordimaia è rimasta nel mio cuore come, credo, nel cuore delle altre mogli. Poco tempo fa, quarant’anni dopo si è riaperto quel cancello, e sono riapparse inalterate tutte le emozioni di allora e, grazie a Leonardo e Tiziana che ci hanno permesso di rivivivere quel sogno, si riaccende, come se il tempo non esistesse, la luce di Bordimaia, che, sono sicura, è stata un vero cemento per tutti voi amici e per noi, vostre mogli.
Tiziana e Leonardo ci fecero fare, una volta entrati, il giro della (ex) vigna. Fabio riconobbe un melo, unico albero rimasto dai suoi  trascorsi  a Bordimaia. Pensai: “è invecchiato con noi, ma sempre giovane”.

Velletri prima di Bordimaia e Roma nel primo dopoguerra

Con la licenza dei soliti venticinque lettori, voglio andare un poco più in là nel tempo. Come ho raccontato la vigna è nata con me, ricordo uno scalcinato “tranvetto” che costeggiava l’Appia, lo stesso che nei racconti paterni il ventotto settembre 1943 portò la mia famiglia, tremante e disperata, in fuga a Velletri. Ma nel primo, primissimo dopoguerra, il “tranvetto Stefer” giungeva alla piazza del paese e per arrivare alla vigna occorrevano due o tre chilometri di gambe in spalla. Fino a pochi anni prima mio padre vi arrivava pedalando su un’antiquata bicicletta, superando la salita delle Frattocchie, non proprio lo Stelvio, ma niente male. Come ho già raccontato, si dormiva in una unica stanzetta (la casa riportata nel blog) e per bagni e servizi … l’aria aperta. Si mangiava e si cucinava con i manutentori, allora il padre di Vivaldo. La casa (chiamiamola pure così) padronale fu costruita nel 1947/48 e sui suoi inconvenienti mi sono gia dilungato (acqua solo se pioveva, luce con lampade a petrolio e candele…), ma ci sembrò il Louvre. Continua a leggere

I miei amici … da sempre 2

Con immenso piacere e profonda gratitudine pubblico un nuovo contributo di Rino

Per me Bordimaia, negli anni dell’adolescenza, era il regno della fantasia. Se ne parlava, si scherzava, in suo nome si attribuivano al Madesdic, per gioco, poteri assoluti che, in tempi di democrazia, servivano a rafforzare l’idea che ne avevamo di regno dell’assurdo. E questo ci piaceva, rafforzava in noi la sensazione di appartenere a qualcosa di solo nostro, dove gli altri non potevano entrare, dove si potevano fondere il nostro desiderio di crescere e diventare adulti, con quello di restare insieme un poco bambini.

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I miei amici … da sempre

Devo sottolineare l’incredibile amicizia tra noi, nata nel 1956 e da allora mai affievolita. I bravi della classe erano Rino e Renato per italiano, temi, e materie letterarie, Maurilio per quelle scientifiche. Poi Ettore, Sandro, Giorgio e D. se la cavavano discretamente. Fu creata immediatamente una (come avremmo chiamato poi) “holding” dei compiti: Rino e Renato facevano i temi per tutti, Maurilio passava matematica, gli altri, trepidanti, attendevano. Ovviamente le traduzioni di latino e greco risultavano in copia conforme, ma il professore Riccardo Mazza, detto “panza a terra” per i suoi racconti di guerra, non se ne accorgeva, o non se ne curava. Un giorno un supplente capì tutto e ci mise alla berlina paragonando i nostri temi alla tradizione manoscritta.

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Le “Imbucate” negli anni ’59/’60

Come si svolgevano le feste? In modo opposto a quello odierno: rigorosamente abito “bleu bono” (o grigio), cravatta stretta, camicia bianca. Orario? 16/16,30. La casa più gettonata era la mia in via Gramsci, grande. Ci ritrovavamo il pomeriggio dopo lo studio, con qualche saltuario beveraggio e qualche raro panino. Mia madre una volta offrì agli stupefatti ospiti una famosa pizza senza mozzarella (non l’aveva). Una delle prime feste la organizzò Ettore ed io mi lamentai di aver “sprecato” l’abito grigio buono data la qualità dell’elemento muliebre ivi convenuto, in compenso suo padre, il famoso ingegner Ignazio, noto per parlare molto, portò via tutti i liquori presenti. Il buon Maurilio, con la sua vocetta appena udibile da tre stanze lontano, urlò: “Io con C…. non ce ballo!”.

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